venerdì 8 maggio 2015

INNOVAZIONE, CONSULENZA E TRASFERIMENTO DELLE CONOSCENZE LA RICETTA PER IL DOPO QUOTE LATTE 

Nel mese di gennaio scorso, parlando della difficile situazione del mercato del latte che, purtroppo ancora persiste e inquieta i produttori italiani - e non solo quelli - avevamo fornito alcune indicazioni su come affrontare le sfide che attendono il settore, coinvolto, come noto, anche nella incerta stagione del dopo quote latte.
Erano state ipotizzate tre aree di intervento: strumenti di politica agraria per il contrasto al fenomeno della volatilità del mercato in Europa, previsto da tutti in aumento, anche per effetto dell'abbattimento della diga produttiva rappresentata appunto del regime delle quote; l'azione diretta degli operatori economici, attraverso le armi dell'aggregazione, della organizzazione e della ottimizzazione delle performance di impresa (innovazione, produttività, efficienza); infine, avevamo parlato di misure non convenzionali, ovvero residuali, ma non di importanza minore  rispetto alle due precedenti e caratterizzate da una certa dose di originalità e spirito creativo.
L'articolo annunciava future proposte concrete tagliate sulle specifiche esigenze del sistema lattiero-caseario italiano. Riprendiamo oggi il discorso lasciato in sospeso per formulare una prima ipotesi di lavoro che è stata oggetto di valutazione con diversi agenti economici e con alcuni analisti.
Si tratta di questo: lanciare, con una regia a livello nazionale e declinando l'applicazione in base alle specificità territoriali, una massiccia azione di assistenza tecnica e di consulenza a favore delle imprese zootecniche per elevare il livello delle prestazioni individuali e di conseguenza innalzare anche la competitività complessiva di sistema.
In alcune parti ci sono esperienze pilota che vanno in tale direzione. Esse sono basate sul monitoraggio degli indicatori di efficienza e di efficacia, sulla costruzione di benchmark (casi esemplari di riferimento) e sulla erogazione di servizi di consulenza specialistica per accompagnare le singole imprese verso il percorso della ottimizzazione dei risultati.
I migliori studi eseguiti a livello nazionale dimostrano che c'è una forte dispersione attorno alla media dei livelli di efficienza degli allevamenti. Il capitolo sui costi di produzione del Rapporto 2014 dell'Osservatorio sul Mercato dei Prodotti Zootecnici (OMPZ) evidenzia in modo chiaro tale fenomeno. Tra l'allevamento che produce a costi più bassi e quello con costi più alti, c'è un rapporto di 1 a 5. E si badi bene che le differenze esistono anche tra imprese zootecniche di analoga dimensione fisica ed economica e localizzate nella stessa area geografica.
Le performance non sono legate solo alle economie di scala ed all'impatto favorevole o negativo del territorio, ma dipendono, in buona parte, dalla capacità e dalle scelte dell'imprenditore, nel selezionare ed introdurre nella propria azienda le innovazioni e le soluzioni gestionali più pertinenti.
Un progetto di trasferimento delle conoscenze nel settore della zootecnia da latte nazionale, ben congegnato, attuato con professionalità che siano all'altezza delle sfide da intraprendere, tenuto conto del livello di preparazione non trascurabile raggiunto dai nostri imprenditori, governato in modo solido, centrato su tematiche sensibili come l'alimentazione, la produttività del lavoro, l'introduzione di innovazioni, la salute ed il benessere degli animali, non può che agire da straordinaria leva per il progresso del settore, capace di rimuovere le criticità e favorire l'accrescimento della competitività.
Peraltro, per una tale operazione non si intravedono problemi in termini di disponibilità di risorse pubbliche. L'Italia è al primo posto nell'Unione europea per volume di fondi messi a disposizione con il PSR 2014-2020 per il trasferimento della conoscenza e dell'innovazione. Si tratta allora solo di utilizzare nel miglior modo possibile la dotazione allocata; applicando un principio molto semplice: le attività di consulenza, informazione e formazione devono produrre vantaggi per il sistema delle imprese e non per l'articolata struttura burocratica che le ruota attorno.
Siamo convinti che la soluzione qui prospettata, oltre ad essere fattibile, finanziariamente sostenibile e compatibile con le esigenze del sistema produttivo, possa funzionare e, inoltre, potrebbe fornire il non irrisorio effetto di diffondere tra le imprese una cultura verso la collaborazione e l'utilizzo di nuovi strumenti per il governo del settore e per approcci innovativi al mercato.


Ermanno Comegna 

venerdì 17 aprile 2015


ENIGMI E IDEE PER IL DOPO QUOTE LATTE

La fine del regime delle quote di produzione segna l'inizio della liberalizzazione del mercato in Europea ed in Italia e comporta un sostanziale cambiamento nelle modalità di funzionamento del mercato del latte e dei suoi derivati.
Dallo scorso primo aprile, gli allevatori hanno riacquistato la piena libertà di produrre. Ora non c'è più l'ossessione di essere chiamati a pagare una pesante sanzione alle casse comunitarie, nel caso di superamento della soglia garantita a livello individuale.
La libertà di manovra è sicuramente una conquista per i produttori di latte, i quali però non possono più contare, come è accaduto in passato, sull'efficace intervento europeo per arginare le crisi, evitare eccessivi ribassi delle quotazioni e stabilizzare il mercato.
La fine delle quote latte segna, in altri termini, la rinuncia dell'Unione europea all'attività di governo forte ed incisivo del mercato del latte ed espone il settore all'influenza del gioco delle diverse forze di mercato.
In realtà, dentro la Pac ci sono ancora degli strumenti di difesa, ma la loro capacità di azione è piuttosto debole e sarebbe meglio che gli operatori economici non ci facessero troppo affidamento. Basti dire, in proposito, che gli attuali prezzi minimi all'intervento per il burro e per il latte in polvere scremato (quella che l'esecutivo comunitario chiama con il termine di "rete di sicurezza" o "safety net" detta all'inglese) si traducono in un prezzo del latte crudo alla stalla di circa 21 centesimi di euro per chilogrammo.
Ciò significa che la convenienza alla vendita ai magazzini pubblici, piuttosto che sul libero mercato, scatta quando la remunerazione corrente per il produttore scende sotto la soglia indicata, palesemente insufficiente a coprire anche i soli costi variabili di produzione.
Oltre agli acquisti pubblici, ci sono le disposizioni introdotte nel 2012 con il "Pacchetto latte" (essenzialmente la contrattualizzazione obbligatoria e la programmazione produttiva per i formaggi DOP) ed il regime di sostegno per la vendita del latte nelle scuole, come intervento di educazione alimentare delle giovani generazioni.
Abbiamo, inoltre, i pagamenti diretti disaccoppiati, i quali però subiranno una forte riduzione nei prossimi anni e il sostegno specifico accoppiato, erogato in funzione del numero di vacche che partoriscono ogni anno e subordinato alla iscrizione della mandria ai controlli funzionali.
Con tali misure l'Europa garantisce un minimo sostegno al reddito a favore dei produttori (indicativamente 2 centesimi di euro per kg di latte con la riforma della Pac a regime) ed affida a questi ultimi gli interventi di autoregolamentazione del mercato che in passato gestiva in prima persona.
Può reggere tale sistema? Questo è l'enigma che molti e in primis gli allevatori italiani vorrebbero conoscere.
C'è chi è convinto che sia necessario inventare qualche cosa di nuovo e di diverso; perché altrimenti l'instabilità del mercato salirebbe a livello insostenibile ed a soccombere sarebbero i produttori agricoli, nella loro conclamata condizione di anello debole della filiera.
L'esperienza di altri paesi che hanno abolito le quote latte, come la Svizzera che l'ha fatto nel 2009, insegna che, in assenza del governo della produzione, si generano conflitti nella formazione del prezzo del latte crudo alla stalla e cresce la volatilità.
Di ciò se ne sono accorti in questi giorni i produttori italiani che conferiscono il latte ad una delle aziende del gruppo francese Lactalis che ha proposto un accordo, prendere o lasciare, nel quale il prezzo da pagarsi è ancorato alla quotazione del mercato tedesco, cui si aggiunge un supplemento variabile (più alto in caso in Germania il prezzo sia basso e viceversa).
Sta prendendo piede in Italia chi è convinto della necessità di lavorare affinché l'Unione europea proceda con un ripensamento dell'attuale politica agraria, la quale è incline a tutelare l'ambiente (si pensi al greening ed alla condizionalità); mentre dimentica gli agricoltori e la produzione.
A Bruxelles è iniziato il dibattito sul cosiddetto "Pacchetto latte bis" ed è questa la sede giusta per apportare i correttivi che sono necessari. I francesi e alcuni ambienti italiani ragionano sulla introduzione di un meccanismo di tutela dei margini di mercato, funzionante secondo lo stesso modello introdotto con l'ultimo Farm Bill americano. 
In pratica, il produttore sottoscrive un'assicurazione che copre una data differenza tra il prezzo del latte crudo alla stalla ed il costo per l'alimentazione. Quando il margine effettivo scende sotto quello di riferimento prescelto, interviene lo strumento assicurativo che versa una integrazione all'allevatore. Quanto più è elevato il margine da tutelare, tanto più sale il premio da pagare per la polizza, il cui costo è in parte sostenuto dal produttore beneficiario e in parte indennizzato dallo Stato.
L'idea piace per la semplicità e per la maggiore praticabilità rispetto allo strumento di stabilizzazione del reddito previsto nel regolamento dello sviluppo rurale e il progetto di relazione sulla revisione del "Pacchetto latte", presentato dal parlamentare James Nicholson, sembra non ostacolare una opzione del genere.
I prossimi mesi saranno cruciali per una riflessione costruttiva e proficua in Italia sulle soluzioni da prospettare per fronteggiare le conseguenze dell'abolizione del regime delle quote latte e per maturare una posizione coerente con gli interessi e le peculiarità del nostro sistema lattiero-caseario. Speriamo che l'occasione non venga sprecata.


Ermanno Comegna 

mercoledì 11 marzo 2015

IN PREPARAZIONE IL TERZO DECRETO MIPAAF PER LA PRIMA APPLICAZIONE DELLA PAC


GREENING, CLAUSOLE CONTRATTUALI, DEROGA PER EREDI E DOPPI PASSAGGI DI TITOLI, RISERVA NAZIONALE, PASCOLAMENTO DI TERZI E ASSEGNAZIONE TITOLI  NEL NUOVO TESTO MIPAAF IN PREPARAZIONE 


Il Ministero per le politiche agricole (Mipaaf) sta lavorando alla preparazione di un ulteriore decreto ministeriale che regola la fase di prima applicazione del nuovo regime dei pagamenti diretti della Pac. E' il terzo della serie, dopo quello del 18 novembre 2014 e quello del 26 febbraio scorso. 
I contenuti del decreto sono descritti di seguito. 

Agricoltore attivo: si precisa che il requisito dell'agricoltore in attività deve essere dimostrato anche in caso di richiesta di accesso agli schemi di aiuto del Psr e degli incentivi alle assicurazioni.

Deroga per eredi e doppi passaggi:  in caso di morte dell’agricoltore avente diritto alla prima assegnazione dei diritti al pagamento di base, avvenuta nel periodo tra il 9 giugno 2014 e fino alla data di presentazione della domanda di prima assegnazione dei nuovi diritti, gli eredi hanno la facoltà di esigere a proprio nome il numero e il valore dei diritti all’aiuto alle stesse condizioni previste per l’agricoltore che gestiva l’azienda in origine. Nel caso in cui gli eredi non possiedano i requisiti dell’articolo 9, tali diritti, in deroga al principio generale, possono essere trasferiti mediante clausola contrattuale oppure assegnati e trasferiti prima della presentazione della domanda unica nell’anno successivo.

Riserva nazionale: la superficie minima ammissibile per la presentazione della domanda è di 1 ettaro. L'accesso alla riserva per i giovani agricoltori e per chi inizia per la prima volta l'attività agricola è consentito una sola volta. 

Pascolamento da parte di terzi e assegnazione nuovi titoli: le superfici dichiarate a pascolo magro con pascolamento di terzi nella domanda unica 2014 non sono ammissibili ai fini del percepimento degli aiuti per la relativa annualità; tuttavia l'importo degli aiuti richiesti a tale titolo concorre alla determinazione del valore unitario iniziale per l'assegnazione dei nuovi titoli per il pagamento di base.

Greening: è prevista una deroga a favore degli agricoltori che nel 2014 hanno aderito alla misura dell'avvicendamento biennale ai sensi dell'articolo 68 del regolamento 73/2009. In base alla normativa vigente, gli agricoltori che si trovano in tale situazione devono completare l'avvicendamento nel 2015, coltivando sulla particella interessata una coltura diversa rispetto a quella seminata nel 2014. Tale impegno si intende comunque soddisfatto, qualora il rispetto degli obblighi relativi al greening non consenta all'agricoltore di eseguire il previsto avvicendamento.    


Il testo è ancora in bozza ed è stato diffuso come schema di decreto ministeriale. Pertanto è suscettibile di subire modifiche ed integrazioni. 


Ermanno Comegna 

mercoledì 4 febbraio 2015





Quesito sulla Pac

DOMANDA PAC 2014 ERRATA PER CIRCOSTANZE ECCEZIONALI: COME AVERE LA CORRETTA ASSEGNAZIONE DI NUOVI TITOLI NEL 2015 


1) Quesito 
Il Sig. Rossi nella domanda unica 2013 (DUP) ha dichiarato 80 ettari di superficie agricola utilizzata ammissibile ai pagamenti diretti ed ha percepito titoli per 18.000 euro circa per un numero complessivo di titoli pari a 80.
Nella DPU 2014, causa un errore commesso dal CAA di riferimento, non gli sono stati calcolati 40 titoli perché non sono stati inseriti nel fascicolo altrettanti ettari di SAU ammissibile. 
Con l'assegnazione dei nuovi titoli nel 2015, il produttore in questione subirebbe delle perdite, poiché i calcoli sono eseguiti sulla base dei pagamenti diretti incassati nel 2014.
Le domande sono le seguenti: potremo invocare in fase di fissazione dei titoli 2015 le cause eccezionali, escludendo il 2014 e prendendo come anno utile il 2013 ai fini dei conteggi per i nuovi diritti disaccoppiati?
Quali possibilità potremo avere che tale opzione sia prevista nella circolare Agea di prossima emanazione ?
La ringrazio e resto in attesa di un Suo parere nel merito.

Lettera formata dalla Sardegna







2) Risposta 
La risposta non è definitiva, ma tende a fornire delle indicazioni e delle piste sulle quali lavorare nelle prossime settimane.
Andrò per punti e in modo sintetico:
  1.  l'allegato alla presente mail riporta cosa la legislazione Ue intende, "in particolare", per forza maggiore o circostanze eccezionali. Il caso prospettato non sarebbe tra quelli contemplati, ma il regolamento si limita a segnalare le situazioni più comuni e non esauriscono la casistica (ecco il significato delle parole "in particolare"). Pertanto, sarebbe opportuno che Mipaaf e Agea  nei vari provvedimenti in preparazione (ad esempio nella circolare per la ricognizione preventiva di Agea) includessero anche la situazione richiamata;
  2. la soluzione al problema può essere trovata subito in sede di ricognizione preventiva, invocando quanto riportato all'articolo 19 del regolamento 639/2014: ovvero una circostanza eccezionale avvenuta nel corso dell'anno di riferimento, con l'autorizzazione a prendere in considerazione, ai fini della prima assegnazione dei nuovi diritti, l'annata antecedente a quella anormale; 
  3. il comma 2 del citato articolo 19 andrebbe letto insieme all'articolo 8, paragrafo 2 del DM 18 novembre 2014. L'interpretazione prevalente (sulla quale chi scrive nutre dei dubbi) è che sarà assegnato un importo di riferimento pari all'85% dei pagamenti corrisposti nell'anno precedente. In tal caso, l'agricoltore sarebbe danneggiato. Aggiungo che il conteggio del danno è complicato, dovendo tenere conto anche della convergenza nel periodo 2015-2019, alla quale, mi pare di capire, l'agricoltore interessato, avrebbe diritto, avendo titoli iniziali di valore più basso rispetto alla media nazionale (sui 100 euro per ettaro, indicativamente);
  4. una soluzione alternativa passa per l'accesso alla riserva nazionale nel 2015. A tal proposito si veda l'articolo 11, paragrafo 3, lettera e) del DM 18 novembre 2014, dal quale si evince che i soggetti interessati da cause di forza maggiore e da circostanze eccezionali sono ammissibili alla riserva nazionale. Resta da vedere se il caso citato sarà considerato nell'elenco (vedi il precedente punto 1). Questa soluzione è però più complicata rispetto alla precedente. L'agricoltore qui considerato avrà una assegnazione iniziale di 80 titoli, ma con un valore più basso rispetto a quanto sarebbe stato, ove non si fosse verificato l'evento imprevisto, non dipendente dalla propria volontà. C'è da verificare se una tale casistica possa rientrare tra quelle ammissibili?;
  5. infine, vi sarebbe una terza opzione che è quella di non fare alcunché e beneficiare semplicemente della convergenza interna e chiedere i danni a chi è stato responsabile degli errori commessi con la presentazione della DUP 2014.

Ermanno Comegna  


Allegato 
Regolamento 1306/2013, articolo 2, paragrafo 2

2. Ai fini del finanziamento, della gestione e del monitoraggio della PAC, la "forza maggiore" e le "circostanze eccezionali" possono essere, in particolare, riconosciute nei seguenti casi:
a) il decesso del beneficiario;
b) l'incapacità professionale di lunga durata del beneficiario;
c) una calamità naturale grave che colpisce seriamente l'azienda;
d) la distruzione fortuita dei fabbricati aziendali adibiti all'allevamento;
e) un'epizoozia o una fitopatia che colpisce la totalità o una parte, rispettivamente, del patrimonio zootecnico o delle colture del beneficiario;

f) l'esproprio della totalità o di una parte consistente dell'azienda se tale esproprio non poteva essere previsto alla data di presentazione della domanda. 

  

giovedì 29 gennaio 2015

CRISI DEL LATTE E DOPO QUOTE: INDICAZIONI IN VISTA DI UNA PROPOSTA ORGANICA

La crisi di mercato del latte sta destando forti allarmi in tutta Europa e in molti si affannano a proporre soluzioni che possano scongiurare il pericolo di un eccessivo indebolimento del sistema produttivo.
Da ultimo, si è parlato della questione in occasione del Consiglio agricolo dell'Ue del 26 gennaio e il giorno successivo c'è stata una audizione alla commissione agricoltura del Parlamento europeo.
In qualche Paese dell'area settentrionale dell'Unione europea la situazione è davvero allarmante e si segnalano prezzi del latte crudo alla stalla decisamente sotto la soglia di 30 centesimi di euro per chilogrammo e, in qualche caso, più vicino al limite dei 20 centesimi.
Molti denunciano che i ricavi dei produttori siano inferiori ai costi di produzione ed evidenziano come si avvertano problemi di carenza di liquidità tra gli allevatori.   
Insomma, uno scenario cupo che non risparmia l'Italia, come è attestato dalle difficoltà a trovare un accordo sul prezzo tra produttori ed acquirenti industriali ed il clima polemico che di tanto in tanto affiora a livello politico e tra gli operatori economici.
In un contesto del genere, sorprende la posizione della Commissione europea che nega sia in atto una situazione di crisi; l'esecutivo comunitario - contrariamente a Consiglio e Parlamento - minimizza e manifesta un atteggiamento attendista, convinta che presto ci sarà un miglioramento, magari quando la Cina inizierà a riaffacciarsi in modo massiccio sul mercato, riattivando gli acquisiti che sono risultati rarefatti negli ultimi mesi.
Senza voler giustificare la Commissione Ue, è il caso di segnalare realisticamente che per sostenere il mercato del latte con interventi di politica agraria efficaci e tale da far risalire i prezzi, è necessario disporre di risorse pubbliche che di questi tempi scarseggiano, anche nel bilancio dell'Unione europea che, forse, in passato ha dato l'impressione di non avvertire tali problemi piuttosto radicati, invece, a livello nazionale.
Cosa fare allora? Ecco alcune indicazioni.
Primo, una soluzione deve essere trovata, per due ragioni: la volatilità è una variabile ormai strutturale e la fine del regime delle quote latte non frenerà di certo tale fenomeno, sconosciuto in Europa in passato.
Secondo, bisogna fare meno affidamento sull'intervento dell'Unione europea e lavorare sulle due altre leve disponibili: l'organizzazione del settore, con particolare riferimento al mondo degli allevatori, all'industria di trasformazione ed alle loro interrelazioni; le soluzioni gestionali individuali dell'impresa agricola.
Terzo, andrebbero utilizzate con maggiore intensità e, ove possibile, con originalità le misure fino ad oggi non convenzionali. Nel concreto, si deve ricorrere agli strumenti finanziari e alle attività di marketing, piuttosto che attendere un improbabile consistente aumento dei prezzi istituzionali fissati nell'ambito dell'organizzazione comune di mercato dell'Ue.
Chi scrive sta lavorando su una proposta concepita sulle esigenze del sistema lattiero-caseario italiano che presto si provvederà a rendere pubblica su agricolae.eu, oltre che sul blog   http://agricolturainrete.blogspot.it/ e tramite twitter (@ErmannoComegna), dopo averla confrontata con esperti, produttori di latte ed altri operatori.

Ermanno Comegna



Quesito sulla Pac

ASSEGNAZIONE NUOVI TITOLI PAC NEL 2015 IN CASO DI INIZIO DI ATTIVITA' CON ACQUISTO TITOLI NEL 2014 


1) Quesito 
Vorrei sottoporre all'attenzione la seguente situazione.
A marzo  2014 una società agricola composta da due fratelli ha cessato l'attività ed ha concesso in affitto i terreni ad un nuovo agricoltore, legato con vincolo di parentela diretto con i precedenti conduttori. 
Il nuovo agricoltore ha aperto una partita IVA come ditta individuale e, oltre a prendere in affitto i terreni, ha acquistato anche i titoli PAC disaccoppiati maturati in precedenza. 
Qualcuno sostiene che nel 2015 non verranno assegnati i titoli a favore del nuovo agricoltore. 
E' vero che non ci sarà assegnazione di nuovi titoli al giovane che ha iniziato l'attività nel 2014? 
Come stanno realmente le cose?  
Ha qualche suggerimento o qualche notizia che possa cambiare questa situazione?


Nicola Pastore - Padova 



2) Risposta 
Ciò che le hanno riferito non è corretto. Il nuovo agricoltore otterrà l'assegnazione dei nuovi titoli nel 2015, pur non avendo il requisito di essere stato in attività ed aver presentato una domanda PAC nel 2013 (chiave di acceso al nuovo regime dei pagamenti diretti). 
Bisogna solo avere la pazienza di attendere la circolare AGEA in preparazione per la ricognizione preventiva e le istruzioni su come comportarsi. 
Il nuovo agricoltore potrà invocare il dispositivo della clausola contrattuale nei contratti di affitto, così come previsto dalla regolamentazione comunitaria, per effetto della quale acquisisce il diritto ad accedere al processo di nuova assegnazione.
In alternativa, potrebbe essere impiegato pure lo strumento delle eredità anticipata. 

Ermanno Comegna  

martedì 27 gennaio 2015



LA GESTIONE DEI PASCOLI ALLA LUCE DELLA RIFORMA PAC 2014-2020

I requisiti e le condizioni da rispettare per dichiarare nella domanda Pac per i pagamenti diretti le superfici a prati e pascolo permanente 


Le regole da rispettare per gli agricoltori che nella domanda Pac 2015 e degli anni successivi inseriscono come superfici ammissibili i terreni a pascolo stanno cambiando in maniera profonda, per effetto della riforma Pac 2014-2020 e per le successive decisioni nazionali, sulle quali le Autorità italiane stanno ancora lavorando.
In particolare, dopo il decreto del 18 novembre 2014, sono in preparazione due ulteriori provvedimenti Mipaaf: 
  • quello che detta le disposizioni in materia di condizionalità, in pratica già definito e in via di pubblicazione; 
  • l'atto che stabilisce le disposizioni attuative del già menzionato decreto del 18 novembre scorso, sul quale è ancora aperto il confronto.  

Il Ministero, le Regioni e le organizzazioni degli operatori economici sono impegnate in una delicata fase di ricerca del compromesso e di costruzione del consenso. Il quadro della situazione è complicato e, finora, sono state diffuse più versioni del testo, con differenze di non poco conto.  
Ad oggi (27 gennaio 2015) la situazione può essere così descritta:

1.      C'è da considerare intanto che, dal 2015, non trova più applicazione la pratica di condizionalità relativa al mantenimento dei pascoli, così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi (con il pascolamento entro certi limiti di densità di bestiame). Nel 2015 e 2016 ci sarà, in via temporanea, la norma di buona pratica agronomica ed ambientale (BCAA) sui pascoli, ma declinata solo in termini di mantenimento della proporzione tra superficie a pascolo e superficie totale (vedere il titoli VI° del regolamento 1306/2013 e la bozza di decreto condizionalità in via di pubblicazione). Dal 2017 il mantenimento dei pascoli non sarà più requisito di condizionalità. Resta a questo punto da ricordare che il mantenimento dei prati e pascoli permanenti è requisito obbligatorio di inverdimento dal 2015;

2.  dal corrente anno, gli agricoltori che richiedono i pagamenti diretti (prima assegnazione e pagamento annuale), inserendo nella domanda superfici di pascolo sono tenuti, in relazione ai singoli casi, ad attuare i "criteri di mantenimento", oppure "l'attività minima" (articoli 4 e 9 del regolamento 1307/2013). Questa seconda condizione si applica allorquando siamo in presenza di superfici che in modo naturale si mantengono in uno stato idoneo al pascolo;

3.  il decreto 18 novembre 2014 ha fornito la definizione di cosa debba intendersi per "mantenimento" e "attività minima" e rimandato ad un successivo provvedimento (quello in via di elaborazione), per la fissazione dei dettagli;    

4.   l'articolo 2 del decreto ministeriale in bozza provvede a ciò, individuando 4 differenti situazioni:
a.      criteri di mantenimento delle superfici agricole e dei pascoli ordinari. In questo caso la bozza di decreto impone una pratica agronomica con cadenza almeno annuale e precisa che, nei casi di pascoli si deve evitare il sovra sfruttamento o la sottoutilizzazione;
b.   criteri di mantenimento dei pascoli con predominanza di arbusti e alberi sottoposti alla pratica tradizionale del pascolamento. In tale caso, la bozza di provvedimento ministeriale impone il pascolo con almeno un turno annuale e rimanda alle regioni il compito di specificare il carico minimo e massimo;
c.      criteri di mantenimento dei pascoli con predominanza di arbusti e alberi sottoposti alla pratica tradizionale della conservazione degli habitat. In questo caso la bozza di decreto rimanda agli enti gestori dei SIC e ZTS per l'individuazione delle misure di conservazione;
d.     attività minima su pascoli che in modo naturale si mantengono in uno stato idoneo dal punto di vista agronomico e produttivo. In questo caso la bozza di decreto individua due alternative casistiche. Una prima applicata alle superfici che presentano delle condizioni tali da impedire lo sfalcio e altre operazioni agronomiche, nelle quali si impone per forza la pratica del  pascolo. Una seconda casistica si ha quando le condizioni di altimetria, pendenza e produttività sono tali da consentire lo sfalcio o altra operazione agronomica. In tale caso l'attività minima può essere soddisfatta anche sena ricorrere al pascolamento.   

Sulla sfondo della questione della gestione dei pascoli ai fini della concessione degli aiuti diretti della Pac, c'è la questione del ricorso al TAR, con il quale si chiede di annullare la circolare Agea del 2013 che ha posto il divieto del pascolamento da parte di terzi.
Una recente sentenza ha rigettato l'istanza proposta dagli allevatori ricorrenti. Tuttavia, la partita non deve essere considerata chiusa.

Ermanno Comegna